“Perché non si riescono a raggiungere gli obiettivi della transizione ecologica? Nonostante il nostro Paese abbia delle straordinarie eccellenze e sia leader in alcuni settori come l’economia circolare, perché i target europei fissati al 2030 sembrano così lontani?”.

La domanda la pone Gianna Fracassi, vice segretaria generale Cgil, al convegno organizzato dal Cnel, Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, durante l’incontro “La transizione ecologica: un’opportunità di sviluppo per l’Italia”, un tema centrale del quale secondo la sindacalista si continua a dibattere con spazi di confronto che propongono argomenti atti a distrarre: “Un esempio su tutti: il nucleare, sul quale si è aperto un dibattito, mentre ci sono altre scelte che vanno fatte. Invece c’è l'urgenza di mettere in campo iniziative di politica pubblica”.

I tempi del cambiamento sono un elemento cruciale, perché se è vero che è già in atto la trasformazione verde verso produzioni che non espropriano la natura e non impoveriscono gli ecosistemi, che non inquinano, non accelerano il riscaldamento globale, quanto si sta facendo ancora non basta.

“Stiamo andando molto più piano del necessario, le misure e le politiche non sono sufficienti, di questo passo il mondo e ancora più l’Italia si dirigono verso il disastro – afferma Giovanni Dosi, docente dell’istituto di economia della Scuola Sant’Anna di Pisa -. Stando all’opinione di molti scienziati, l’obiettivo di contenere il riscaldamento del Pianeta a 1,5 gradi non sarà raggiunto mentre la previsione di un aumento di 2°C in due secoli e mezzo è catastrofica perché non è mai successo nella storia millenaria della Terra. Il punto principale quindi è l’urgenza. Il secondo è il fatto che la trasformazione ambientale e lo sviluppo non sono in conflitto, anzi”.  

Certamente, però, la transizione comporta fatica e richiede lo sforzo di cambiare approccio: il modello economico decarbonizzato è profondamente diverso da quello che conosciamo e questo crea resistenze. “Significa cambiare morfologicamente l’idea stessa di modello economico – riprende Fracassi -.  Questo vuol dire che anche le scelte e le politiche vanno radicalmente ripensate da due punti di vista: quello del lavoro e della qualità del lavoro, perché la transizione deve essere accompagnata dalla tutela e dalla creazione di nuova e buona occupazione;  e quello delle scelte che il governo deve fare, ripristinando un soggetto che determina le politiche industriali e definisce la specializzazione produttiva del nostro Paese”.

Un processo complesso che richiede una strategia in grado di tenere insieme le politiche industriali, quelle del lavoro con sostegni attivi e passivi, quelle per la formazione e la qualificazione, nell’ottica anche dell’altra transizione digitale che stiamo affrontando. “Gli incentivi che lo Stato eroga abbondantemente e generosamente – aggiunge la vice segretaria Cgil -, non possono essere affidati al mercato senza alcuna finalizzazione o selettività, ma vanno orientati nell’ottica del lavoro, della qualità, delle scelte green”.

Poi c’è il Pnrr, il Piano di ripresa e resilienza, “che non deve essere un’occasione persa – conclude Fracassi -. Io sono ottimista e dico che ce la possiamo fare. Ma anche in questo caso ci vuole un indirizzo. Da qui al 2030 dobbiamo raddoppiare la produzione energetica da fonti rinnovabili, riservando una parte delle risorse a sostenere le filiere industriali legate alle due grandi transizioni, partendo dalle aree di crisi complessa. La risposta che abbiamo visto, però, è stata una pletora di misure che intervengono solo parzialmente e non a sostegno di tutte le filiere”.