Il ritorno alla normalità, quella che ci aspetta nei prossimi mesi, è l’incubo di tutti i cittadini. Traffico, smog, tempi di percorrenza infiniti, impossibilità di trovare un parcheggio per le auto private inevitabilmente tutte in strada nella convinzione che sia l’unico mezzo per evitare il rischio. E poi treni, autobus, tram e metropolitane da prendere solo dopo aver fatto la fila, quindi anche qui con tempi lunghi e insopportabili attese. Mentre nella Fase 2 la ripartenza si sta avviando senza particolari disagi, sono tanti gli appelli a non sprecare l’occasione offerta dall’emergenza Covid-19: ridisegnare la mobilità dei nostri centri urbani. In meglio.

“Adesso è il momento per ripensare non solo la nostra mobilità ma tutto il funzionamento delle città – sostiene Maria Rosa Vittadini, docente di urbanistica all’università Iuav di Venezia. – Questa ripartenza significherà impegnare un sacco di soldi, sotto forma di prestiti e di finanziamenti a fondo perduto. Abbiamo due possibilità: spendere tutto per ritornare come eravamo prima, oppure cercare di fare un salto di qualità. Certo, la tentazione di riprendere lo sviluppo della mobilità automobilistica è fortissima, con parcheggi di interscambio e nuove infrastrutture. Ma non si può riproporre il modello dell’auto privata giustificato dal fatto che è uno dei pochi modi sicuri per muoversi”. Il perché è presto spiegato. Facendo un confronto tra un autobus ridotto a un quarto della sua capienza e l’automobile, sulla base del consumo di carburante e dell’inquinamento prodotto, il primo vince di gran lunga la gara della convenienza economica e ambientale anche se porta 25 passeggeri anziché 100.

D’altro canto nella ricostruzione della catena di trasmissione del Covid-19 fatta dall’Ages, Agenzia per la salute e la sicurezza alimentare austriaca, riportata dal settimanale tedesco Spiegel, si spiega che in base all’analisi realizzata non si sono registrati contagi nei negozi o nei mezzi pubblici: ci si infetta se si resta vicini almeno 15 minuti, quindi prevalentemente in famiglia, al lavoro o fra amici. Lo studio scagionerebbe autobus e metropolitane all’essere il futuro luogo di contagio prediletto dal virus, quindi. Le soluzioni per una ripartenza green non si limitano però ad una sola ricetta. Per Legambiente le due sfide su cui puntare sono il potenziamento della sharing mobility e il raddoppio dei chilometri delle piste ciclabili, un intervento, quest’ultimo, già previsto nei Pums, i Piani urbani per la mobilità sostenibile, che i Comuni devono mettere in campo al più presto.

“Sarà fondamentale potenziare la disponibilità di biciclette, e-bike, monopattini e scooter elettrici – dichiara Edoardo Zanchini, vicepresidente nazionale di Legambiente -. Bisogna ridurne i costi d’utilizzo e allargarne l’offerta anche alle aree periferiche dei nostri centri urbani. Non sono ammessi ritardi di nessun tipo: se davvero si vuole avviare una ripartenza urbana green e sostenibile, non si perda questa importante occasione”. Allo studio del ministro dei Trasporti, di concerto con quello dell’Ambiente, c’è un provvedimento che va proprio in questa direzione: un bonus fino a un massimo di 500 euro per l’acquisto di biciclette, anche a pedalata assistita, di veicoli per la mobilità personale a propulsione prevalentemente elettrica, e monopattini. Un incentivo per i residenti nelle città metropolitane e nelle aree urbane con più di 45-50mila abitanti, che non sarà legato a parametri di reddito e disponibile a tutti quelli che ne faranno richiesta, capace di scontare il 65-70 per cento del valore d’acquisto dei mezzi in maniera retroattiva per le spese sostenute già dal 4 maggio. La dotazione iniziale dovrebbe essere di 120-125 milioni di euro, fatta salva la disponibilità del governo a incrementare gli stanziamenti in un secondo momento.

Tra le città che si stanno muovendo per favorire una nuova mobilità è Torino, che con un’ordinanza ha istituito il limite di 20 km/h per le automobili nei controviali di 27 corsi, complessivamente 80 chilometri di strada al rallenty, dove dovrebbe essere favorito l’uso di biciclette e monopattini elettrici. Un provvedimento che non cambierà i tempi di percorrenza automobilistici, già molto lenti, ma che secondo Legambiente consentirà ai cittadini che vorranno utilizzare mezzi alternativi e meno impattanti, il cui numero è in costante e forte crescita, di farlo in maggiore sicurezza. Rallentare le auto, però, non basta. Seguendo l’esempio di diverse altre città del mondo, si potrebbero realizzare percorsi ciclabili temporanei, per poi puntare a una loro trasformazione in vere e proprie piste nei mesi successivi. Una soluzione prospettata da Legambiente per la quale sarebbero già disponibili le risorse: 150 milioni di euro stanziati nella Legge di Bilancio 2020 per il co-finanziamento di percorsi ciclabili urbani. Fondamentale sarà il ruolo dei Comuni, chiamati a presentare progetti seri, che mirino a uno sviluppo strategico della rete ciclabile, ma anche a trovare i giusti accordi con le imprese di sharing mobility per garantire una mobilità sostenibile a buon mercato e inclusiva.

Sulla base dei Piani urbani per la mobilità sostenibile, ai 2.341 chilometri di piste ciclabili attualmente disponibili in 22 città italiane, se ne potrebbero aggiungere altri 2.626. Qualche esempio: Palermo potrebbe passare dagli attuali 48 chilometri di piste ciclabili a 155, Firenze da 66,3 a 108,5, Pesaro da 100 a 180, Napoli da 21,3 a 184,3. E ancora: Bologna potrebbe balzare da 248 chilometri a 969, Bari da 45,7 a 202,7, Milano da 220 a 406, Parma da 125,5 a 296 km.

“E poi è necessario che le amministrazioni cambino i tempi delle città, che si livellino le punte, riducendo la domanda di mobilità, andando all’origine di ciò che produce il traffico e favorendo lo smart working – aggiunge l’urbanista Vittadini -. Questo significa ripensare i nostri centri urbani nell’ottica del quarto d’ora. Tutto deve essere a portata di 10-15 minuti a piedi o in bicicletta: i negozi, le scuole, ma anche i mezzi pubblici che dal quartiere dove abito mi conducono al lavoro o verso il centro, con una rete forte e veloce. Il quartiere è il posto dove la gente ha spazi per stare insieme, giocare, ritrovarsi e vivere nel verde”.

Questa è la via che sta perseguendo Parigi, che ha costruito una rete incredibile di piste ciclabili, raggiungendo un incremento del 50 per cento di mobilità su due ruote, semplicemente facendo spazio alle biciclette e togliendo parcheggi alle automobili. Ed è quella che sta cercando di imboccare anche Milano, una delle città più inquinate dell’Europa occidentale e anche una delle più colpite dal Coronavirus: il Comune ha annunciato che entro settembre realizzerà 23 chilometri di nuovi percorsi ciclabili, e altri 12 entro la fine del 2020. Metà dei progetti riguardano strade che partono dalla periferia e arrivano a ridosso dal centro, e almeno in due casi avranno l’ambizioso obiettivo di offrire un’alternativa ai mezzi pubblici. “Nel piano ‘Milano 2020, Strategia di adattamento’ è stato inserito l’obiettivo di garantire servizi essenziali a tutti i cittadini entro 15 minuti a piedi, in modo che l’automobile sia utilizzata il meno possibile e che le persone siano incoraggiate a muoversi a piedi o in bici, avviando così un circolo virtuoso – conclude Vittadini -. Meno auto significa meno inquinamento, più acquisti nei negozi di quartiere, più attività fisica, più sfruttamento degli spazi verdi”.